CULTURA
Lettere laiche
DIALOGO CON I NON CREDENTI NEL NOME DI GESÙ DI NAZARETH
EUGENIO SCALFARI
Carissimo amico non credente, così comincia il libro di Vincenzo Paglia e il titolo lo rispecchia fedelmente:
A un amico che non crede (Piemme). Ma in realtà quelle 230 pagine, dense di riflessioni, citazioni e narrazioni, sono dirette all’uomo in quanto tale, credente e non credente, cristiano o non cristiano.
Mi sento tra i destinatari di questa lunga lettera anche perché Vincenzo, anzi don Vincenzo, lo conosco da vent’anni e forse più e la conoscenza è diventata amicizia e scambio di sentimenti e pensieri. Pensieri discordi nelle reciproche conclusioni, ma coincidenti nel metodo, cioè nel dialogo alla ricerca di quanto i laici non credenti debbono alla storia e all’esperienza cristiana e reciprocamente quanto i cristiani debbono al pensiero critico dei non credenti e alla sua storia.
L’autore, per chi non lo sapesse, è stato il co-fondatore della Comunità di sant’Egidio e da una decina d’anni è vescovo di Terni. Di recente Benedetto XVI l’ha nominato presidente del “consiglio delle famiglie”, tema di fondo della Chiesa e della società. Non è un “martiniano” don Vincenzo, ma ha molto apprezzato le posizioni del cardinale da poco scomparso. I suoi punti di riferimento sono stati papa Wojtyla, Benedetto XVI e ora, a quanto capisco, papa Francesco.
Il suo libro tocca tutti i punti del confronto tra il credente e l’amico non credente. L’obiettivo non è di convertire alla fede il suo interlocutore né di esporsi all’eventuale reciprocità, ma di trarre reciproco profitto spirituale dal saggiare le posizioni dell’uno e dell’altro. I temi del confronto sono: la zona del mistero che l’autore chiama l’Oltre; l’affermazione e la negazione di Dio; il Dio assente o presente di fronte al Male; Gesù il Cristo; la fede e la scienza; l’amore verso gli altri; la verità e l’assoluto; la morte e l’aldilà.
L’elenco comprende gran parte del dibattito in corso da sempre, anche prima che il cristianesimo facesse la sua comparsa. Ma è un dibattito che non si svolge mai allo stesso modo perché cambiano le culture che si confrontano, le società e i problemi della convivenza. Cambia il mondo e gli interrogativi che si pone l’“homo sapiens” da quando l’evoluzione dette forma ad un animale pensante. Rimane tuttavia come tema costante del confronto quella zona del mistero che a volte sembra restringersi e a volte estendersi, ma è direttamente connessa alla ricerca del senso.
Questo è il punto di fondo che il libro affronta. Viviamo in un’epoca che ha reso ancor più incalzanti le domande e ancor a più difficili le risposte e il dibattito è diventato sempre più acceso rivelandoaspetti di drammaticità.* * * Al primo punto c’è il dibattito sull’esistenza o la negazione di Dio. Debbo dire che monsignor Paglia non è un patito delle cinque regole di San Tommaso, le ritiene importanti ma non decisive e pensa piuttosto che la vera prova dell’esistenza di Dio derivi dalla fede. Da questo punto di vista gli è molto utile rievocare l’intuizione ontologica di sant’Anselmo: se tante persone pensano Dio come trascendenza eterna che tutto pervade, è impossibile che questa fede non poggi sulla realtà oggettiva.
La maggior parte dei non credenti pensa invece (ed io sono tra questi) che l’idea stessa della divinità sia una meravigliosa invenzione dell’“homo sapiens”, a quale scopo? Per sconfiggere la morte immaginando un aldilà che eternizza l’anima e dà un senso al passaggio terreno riscattandone la precarietà. La tesi del dio inventato è presente da molto tempo e fu anche ufficializzata da alcuni imperi d’Oriente e da quello romano: l’imperatore era undio umano durante la sua vita. Dunque era la carica, il ruolo ad essere divinizzato.
Comunque non è l’ufficializzazione imperiale che interessa e preoccupa il credente, ma l’invenzione della divinità da parte della mente umana. A quell’idea l’autore del libro obietta che la mente umana, pur capace di sorprendenti invenzioni, non può arrivare a tanto, troppo complessa è l’invenzione di un Divino che non abbia un fondamento di realtà, qualunque cosa s’intenda per Divinità.
Perfino il bosone di Higgs? Questo vorrei domandare all’autore della lettera all’amico non credente: una particella elementare può essere Dio?
Credo di conoscere la risposta, ed è un’altra domanda: chi hacreato la particella elementare? Anzi le particelle elementari non sono un’invenzione ma una scoperta degli scienziati come la meccanica dei quanti, le onde magnetiche, i buchi neri e il big bang che la scienza ipotizza arrivando a tracciarne la storia fino ad un miliardesimo di miliardi di secondo, arrestandosi a quel punto prima che il big bang avvenga. Ma prima ancora che cosa avviene? Il credente gli risponde che prima ancora c’è Dio. Il non credente invece continua da parte a ritenere che quel Dio che ha creato perfino le particelle elementari sia un’invenzione della mente per esorcizzare la morte. Io rispetto la fede, rispetto il mio amico credente, rispetto il mistero, ma Dio è un’invenzione, un mito che personifica il concettodell’Essere.
Anche qui credo di conoscere le risposte del credente: se Dio è l’Essere, l’Essere non è un’invenzione della mente ma una realtà come è una realtà il suo rapporto con gli Enti. Gli Enti emergono dall’Essere, nascono, muoiono e si disfano nell’Essere il quale sta, esattamente come Dio. Infatti sono la stessa cosa.
Siamo arrivati dunque ad un punto comune? In un certo senso sì, siamo arrivati a un punto comune con alcune precisazioni. L’identificazione di Dio con l’Essere spoglia Dio da ogni umanesimo, non è pensabile che sia misericordioso o vendicativo o giusto o sapiente o qualunque attributo umano che gli si voglia attribuire, salvo forse quello dell’eternità ma anch’esso con molte riserve poiché l’Essere è fuori dal tempo.
L’altra precisazione riguarda noi umani: la nostra mente arriva fin qui, può esprimere Dio attraverso equazioni matematiche o attraverso metafore che lo raccontino come un personaggio, ma al di là di questo la nostra mente non può andare. C’è l’Oltre? Cioè qualcosa di non esprimibile? Sicuramente c’è l’Oltre, per noi inconoscibile, terra ignota e non esplorabile.
Qui finisce in disaccordo il discorso sull’esistenza di Dio. Ma voi, credenti cristiani, avete un altro capitolo da raccontare che per voi anzi è il primo perché da esso prendete il nome ed è il capitolo di Gesù di Nazareth, figlio dell’uomo e figlio diDio. Forse su questo capitolo potremo incontrarci.
* * * Le fonti sono i Vangeli, gli atti degli Apostoli, le lettere da essi inviate alle comunità cristiane e poi Paolo e poi Girolamo e poi Agostino e Ambrogio e Bernardo, la dottrina, la mistica, la Chiesa di Gregorio di Saona e quella di Bonifacio e duemila anni di storia del potere spirituale e di quello temporale passando attraverso gli scismi, le crociate, l’Inquisizione, la Riforma. Infine lo scontro con la filosofia moderna da Montaigne a Cartesio, a Kant, all’illuminismo, a Hegel, a Nietzsche, a Freud. Infine il Vaticano II che ha cercato di rompere la gabbia costruitadal Vaticano I. Tutto questo è stato messo in moto e dominato dal personaggio Gesù di Nazareth, raccontato dagli evangelisti che hanno parlato di lui senza averlo conosciuto fondandosi sulle narrazioni di alcuni apostoli.
Gesù di Nazareth. Il libro di don Vincenzo, che ricorda tutte queste tappe di storia religiosa con dovizia di citazioni e di riflessioni – fornisce di Gesù un ritratto dove risplende la sua dolcezza, la sua mitezza, il suo amore per il prossimo, la sua consapevolezza del destino che lo attende e soprattutto la sua predicazione.
Il ritratto è molto bello, ne emerge la forza di quell’uomo ed anche le debolezze insite nella sua forma umana; perfino alcuni momenti culminanti dove l’essere uomo sommerge la sua fiducia e lo spinge a dubitare di sé e perfino del Padre: nell’orto del Getsemani qualche ora prima dell’arresto e poi sulla croce del Golgota.
Questo è il ritratto. Quanto alle fonti esse offrono varie possibilità d’interpretazione,dovuteallemolteplici trascrizioni dall’aramaico al greco antico e poi al latino, soprattutto per quanto riguarda il Vangelo di Marco. Cronologicamente esso è il primo poiché Matteo aveva scritto alcuni appunti andati perduti ma la scrittura del suo Vangelo è posteriore a quella di Marco.
La differenza tra i vari Vangeli consiste in questo: il ritratto di Marco raffigura un personaggio in certi momenti mite e dolce ma in altri aspro, triste e inquieto. Una personalità forte, bizzarra e contraddittoria. Comincia a trent’anni la sua storia, senza che poco o nulla si sappia sulla nascita, sull’infanzia e sull’adolescenza. Comincia col battesimo nelle acque del Giordano dove predica ed urla Giovanni Battista. Dopo il battesimo, il deserto e le tentazioni del demonio, poi la predicazione, le parabole, i discepoli, le folle; le parole dure nei confronti della famiglia, anche della propria; l’identificazione di sé con il figlio di Dio. Attenzione: non il Messia ma il Figlio. Quello di Marco è un ritratto in parte alternativo ma che sottolinea quasi ad ogni riga la divinità del personaggio e coincide con tutti gli altri Vangeli sulla dottrina dell’amore come carità nei confronti del prossimo.
Io penso che l’uomo Gesù abbia predicato un’umanità cui dobbiamo riferirci come il modello nobile e ad esso ispirare i nostri comportamenti. Ciascuno nell’autonomia della propria coscienza e – oso dire – costi quel che costi.
Su questo, caro Vincenzo, siamo d’accordo e tu lo sai.
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