D A QUALE pianeta è precipitato tra noi Vincenzo Montella, l’alieno di Juve-Milan? Quale distanza siderale dalle bassezze terrestri del campionato fino al suo cielo ha percorso, per non cadere nella nenia isterica del torto o della ragione? Chi è quest’uomo che si chiede dove abbia origine la sua calma, perché non è mica un quarzo, non è certo una pietra inanimata, anche lui custodisce in cuore un vulcano appena dopo quel rigore? Chi è questa strana, remota creatura che davvero dovremmo studiare con la passione dell’entomologo, mentre in campo grida ai suoi di smetterla e poi chiede scusa per le indecorose scene di alcuni, e sono passati appena cinque minuti, e infine dichiara che bisogna lasciare che gli arbitri sbaglino? Perché questo è il punto: si deve lavorare su come siamo noi di fronte all’errore, più che sull’errore stesso, altrimenti non cresceremo mai.
In un mondo preistorico che ancora litiga sul gol di Turone (maggio 1981) e che scagliaparole come clave, recentissime quelle di Buffon contro l’Inter e di De Laurentiis contro l’universo che lo odierebbe, e scendendo per li rami non c’è giorno senza almeno una provocazione, un’offesa, un’allusione, una battutina, un tweet acido, in un circo di tigri sanguinarie ma sciocche, popolato da non pochi acrobati e troppi pagliacci, Montella è la prova che si può non essere così, e che non è vietato pensare che parole bollenti possono armare pugni e lame.
È sbocciato chissà come un fiore dentro il vaso dei veleni, però non c’entra niente con il nostro calcio, Vincenzo Montella. Lo immaginiamo votato a un destino di solitudine, oppure tutto il contrario, diventerà prima o poi presidente federale, o cittì azzurro, perché uno così bisogna prenderlo da parte e dirgli ecco, questo è il pallone, mostraci come si fa, guidaci.
Vincenzino, che pure prendeva a calci le bottigliette quando Capello lo teneva fuori, oggi è davvero un gran signore, esempio di equilibrio, la sua non è mitezza equivoca, è forza smisurata. La squadra che allena è sempre nel vortice dei misteri finanziari, non ha più soldi per rinforzarsi, non si capisce cosa ne sarà ma lui niente, mai un cedimento o una lagna, meglio pensare a crescere i giovani come un maestro di scuola. E a educarli, parola che oggi sembra retorica o peggio ridicola, ma è questo che è successo venerdì sera a Torino: un allenatore di calcio ci ha insegnato come si sta al mondo, e come renderlo se possibile un po’ migliore.