Omelia della Notte di Natale

C’era una volta un Re, anzi un Bambino….

A volte ascoltando questo brano mi pare di trovarmi dentro una bella favola. C’è il Re potente e cattivo che governa su tutta la terra, e di contro il bambino povero destinato a regnare sulla terra e nei cieli. Poi nella cornice di un cielo stellato appaiono gli angeli in festa che discorrono con dei pastori e nella grotta silente la tenerezza di una scena madre col bimbo stretto al petto di una donna. Sembrerebbe quasi una fiaba vera sennonché alcuni personaggi di fiabesco hanno ben poco. Continue reading “Omelia della Notte di Natale”

In ricordo di Ferruccio

Caro Ferruccio ti scrivo come scrivessi a Gesù, a Maria o a qualche santo in cielo. Non credo infatti tu sia troppo distante da loro e per quello che la mia povera fede mi permette di sapere, so che dal paradiso in poi siamo in comunicazione speciale nella preghiera e soprattutto nella Messa. 

Quindi so che questa lettera tu certamente la ascolti e la ascolti con cuore nuovo, orecchie nuove, mente nuova, insomma da uomo del paradiso.

Allora cominciamo. 

Cominciamo dalla fine, anzi dall’inizio. Dal giorno del Signore, la Domenica. Si perché Ferruccio è stato quello il giorno in cui ti incontravo regolarmente. E in questo ultimo anno avevi fatto passi da gigante perché ti sei dovuto convertire all’idea che non ci saremmo visti tutte le domeniche, ma una domenica si e una no come dicevi tu. Avevi ormai imparato che all’Alba ci alternavamo io e don Daniele nel celebrare la messa e così hai modificato i tuoi rituali e li hai adattati ai miei. Grazie Ferruccio per essermi venuto incontro  e grazie perché non hai sbagliato i conti neppure questa domenica, l’ultima del tuo esilio terreno. Mi sei venuto a salutare nel giorno di domenica e in questo giorno sei salito in cielo. Non mi è mancato il tuo bacio nel giorno a noi comune. Lo sai? D’ora in avanti mi mancheranno i tuoi baci in sacrestia e mancherai a noi tutti caro Ferruccio.

Ci mancherai perché come entravi in chiesa te non entrava nessuno. Non sceglievi vie laterali ma la corsia centrale dritto spedito verso l’altare. Intanto che avanzavi cercavi mani da stringere e volti da salutare. Infine presenze amiche dove riposare durante il tempo della messa. E alla fine il rituale inossidabile, il saluto in sacrestia e i reciproci baci. E poi regolarmente mi dicevi: non mi sgridare che sono venuto tardi. No Ferruccio tranquillo, potevi fare tutti i ritardi che volevi. Come non perdonarti settanta volte sette….

Ci mancherai Ferruccio perché le preoccupazioni che avevi tu non le aveva nessuno. E le tue preoccupazioni ci distoglievano dalle nostre. Sei sempre stato terapeutico per noi come tutti i ragazzi speciali come te. Proprio questa domenica eri preoccupato di portare qualche centesimo di offerta e volevi darmeli mentre io ti consegnavo la comunione. In quel momento io pensavo di portare una preoccupazione grande, cioè di dare la comunione a tutti, ma tu avevi una preoccupazione maggiore…quella di consegnarmi i tuoi spiccioli.

Le mie vie non sono le vostre vie dice il Signore nella Bibbia. Io l’ho imparato da te Ferruccio. Le tue vie erano sempre diverse, straordinarie.

Ci mancherai Ferruccio perchè quando ricevevi la benedizione non te ne andavi se l’acqua non ti colpiva. Avevi bisogno di concretezza, non ti bastava l’idea della benedizione ma come i bambini volevi vedere, toccare con mano la bontà di Dio. Anche oggi andando a benedire alla scuola Anika Brandi ho fatto la benedizione e ho cercato di bagnare tutti i bambini, perchè un po’ li conosco. Ma alla fine qualcuno è venuto dicendomi che non avevano ricevuto l’acqua. Ecco lì mi sono salvato rispondendo che l’acqua era caduta probabilmente sui calzoni o sulle scarpe e quindi il corpo non l’ha sentita. Ecco con te Ferruccio questo non sarebbe stato possibile. Avrei dovuto riprendere di nuovo l’aspersorio e bagnarti fino a quando non era chiara la presenza dell’acqua sul tuo corpo. Avevi bisogno di presenza, di toccare, di baciare…in fondo come vorremmo tutti noi. Solo che ci manca la libertà che avevi tu.

Ci mancherai Ferruccio in questa domenica delle palme, perché quante ne portavi a casa te non ne portava nessuno. Ma un giorno ho scoperto anche la tua generosità. Mi eri vicino mentre benedicevo le macchine e tu aiutato da Otello hai cominciato a distribuire macchina dopo macchina i rami di ulivo che avevi preso a fine messa. Insomma macchina dopo macchina non te è rimasto neppure uno. A quel punto sei scoppiato in pianto …abbiamo risolta presto siamo andati a prendere i rifornimenti e il tuo pianto si è trasformato in sorriso.

Questo mi sorprendeva Ferruccio di te: come ti lasciavi fare. Ti bastavano poche parole e piccoli gesti per renderti di nuovo sereno. Non conoscevi la parola orgoglio, quella di cui ci nutriamo tutti i giorni. Anche in questo eri terapeutico.

E infine caro Ferruccio ci mancherai perchè come avevi paura tu della morte…ma qui non posso dire che ce l’ha nessuno, …ma certamente tu più di noi gli davi un volto preciso. Mi sgridavi se parlavo della morte nelle omelie e l’ave maria la recitavi a metà perché nell’ultima parte c’era appunto la parola morte.

Caro Ferruccio, Maria la Madonnna ha accolto la preghiera che non dicevi. Infatti non ti ha fatto passare la sofferenza pre morte e neppure quella post, perchè sono certo sei passato in un lampo dalla vita terrena alla vita eterna.

Ci mancherai Ferruccio, già da questa domenica la domenica delle palme. 

Da lassù prega per tutti noi, per la tua cara famiglia che ti ha amato di un amore straordinario e per tutti noi che abbiamo gustato la tua dolce amicizia. In modo speciale per i bambini, tuoi colleghi di vita, che baciavi con la stessa purezza di cui loro son ripieni.

Addio Ferruccio.

 

In ricordo di don Vincenzo Rossi

Addio don Vincenzo. 

Questa volta il tuo cuore malato non ha retto e si è arreso definitivamente al Signore. Si è spento nel silenzio e nel segreto della tua camera, certamente accompagnato dal coro degli angeli e da Maria a cui tante volte hai sussurrato nell’intimità della preghiera “ricordati di me adesso e nell’ora della mia morte.” E lei, da madre attenta e fedele qual’ è, non è certo mancata all’appuntamento decisivo. Così quella piccola camera, ieri, si è trasformata in stanza nuziale nella quale si sono celebrate le nozze eterne.

Ora il tuo cuore Vincenzo è finalmente guarito ed è libero di spaziare nell’immensità del paradiso. Ora Vincenzo non hai più limiti ai tuoi sogni, perché sei una cosa sola con Gesù, il tuo sposo.

Si quel Gesù di cui ti sei innamorato follemente dopo 40 anni di vita “mondana e spensierata” alla ricerca di bellezza e felicità che non ti potevano essere date se non in Lui, fonte di ogni nostra gioia. Così la prima grande sofferenza fisica ti ha fermato e ti ha costretto sulla carrozzina per imparare la difficile l’arte del lasciarsi amare. La tua carissima mamma Rina ti ha portato da suor Erminia e tu ti sei lasciato fare da lei, dalla sua dolcezza, dalle sue preghiere, dalla sua santità.

Cosa non hai imparato in quei mesi di rosari e litanie. La preghiera è stata la grande scoperta della tua vita. Quella preghiera ti ha guarito e ti ha liberato. Eri un uomo nuovo, Vincenzo, capace di scegliere cosa fare veramente della tua vita. E tu hai scelto. Hai scelto una stanza sul colle di Covignano, e questa volta non per l’ennesima vacanza, ma per cominciare la via difficile e sublime del sacerdozio.

Ci siamo conosciuti qui Vincenzo, in quegli anni di seminario, che tu continuavi a ripetere anche a distanza di decenni: “i più begli anni della mia vita”.

Siamo cresciuti in seminario con te e ti abbiamo conosciuto da uomo nuovo, ma dal tuo modo di fare così estroso e bizzarro non ci abbiam messo molto a captare anche il tuo passato. 

Non c’è voluto molto per capire quanto eri affezionato ai tuoi profumi, quando nel pellegrinaggio francescano dove vigeva sobrietà e semplicità ti sei portato dietro uno zaino pieno di boccette inutili. Quanto ci abbiamo scherzato sopra! Ma tu eri così. Non ti facevi mancare il superfluo, perché eri un uomo raffinato. Eri un signor prete, Vincenzo. I tuoi vestiti, il tuo taglio di capelli, il tuo look dicevano di una persona speciale. Sei stato di noi più grande di vent’anni, ma ci superavi sempre in stile, in bellezza e in giovanilità.  E il tuo savue fair  non era certo per gonfiare la vanagloria, quanto per esprimere un innato senso di bellezza che ti contraddistingueva. Amavi la bellezza, amavi i bei libri, amavi i dipinti d’arte, amavi la musica e la lirica, i film di Pasolini. 

Non hai mai sfoggiato la tua cultura, ma bastava entrare nel tuo ufficio per veder libri sparpagliati ovunque. Non erano solo libri di teologia, ma romanzi, saggi e altro ancora.  Insegnavi che dove c’è bellezza, c’è Dio. E questo ci apriva gli orizzonti e ci insegnava a non aver paura dell’umano e neppure dei suoi peccati. Ripetevi spesso che soprattutto nel peccato si manifesta la bellezza di Dio. 

Chi ti ha avuto come padre spirituale sa con quanta passione, quanta discrezione e quanta speranza abbracciavi le ferite personali. Nel confessare esprimevi al meglio il volto della tenerezza e della misericordia di Dio. E chi stava davanti a te poteva gustare quanto è dolce e quanto è soave essere abbracciati dal Padre celeste.

Di fronte ad uno stile forse appariscente, eri sicuramente una persona discreta e riservata. Non amavi parlare di te, preferivi ascoltare. Avevi quel non so ché di femminile che permetteva a ciascuno di entrare con facilità nelle questioni più intime e più dolorose. E allo stesso tempo coglievi ogni spigolatura, ogni dettaglio di chi ti stava innanzi. Quella passione al superfluo ti faceva capace di esplorare i sottosuoli umani, quelli che spesso non coincidono con l’espressione verbale. Quante volte notavi i malumori dietro i nostri “sorrisi della forca”; ti veniva spontaneo il fare da psicologo. 

Eppure quell’intelligenza arguta e quella capacità sopraffina di scrutare l’animo umano non andavano mai a braccetto con l’orgoglio personale; Dio non te lo permetteva mai. Vuoi per i continui malanni fisici, vuoi per un carattere impulsivo e passionale, ma soprattutto per il tuo modo di fare così spiazzante e paradossale anche a te stesso. Quando cantavi la liturgia nel coro eri così serioso e appassionato quanto totalmente stonato. E mentre avvicinavi i tuoi occhialini al breviario con quel fare da “pesce lesso” e cantavi a squarciagola la nota dissonante non potevi che scatenare un moto di simpatia nei tuoi confronti da parte di tutti. E tu ti approfittavi di queste cose e le usavi furbescamente a tuo vantaggio. E cresceva l’intimità.

Carissimo don Vincenzo, oggi sei ritornato al Padre e noi siamo pieni di gratitudine per aver vissuto con te i “migliori anni della nostra vita”. 

Vincenzo sei stato un prete, un padre, un amico. Paradossale e schietto, innamorato della bellezza e pieno di empatia. Ma Vincenzo, soprattutto Vincenzo, unico, irripetibile, sempre fuori dal coro eppure sempre dentro. 

Addio Vincenzo…a Dio!