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Dai, però è una bella materia». Ecco, la classica reazione della maggior parte delle persone quando scoprono che ho scelto di laurearmi in Filosofia, iscrivendomi all’università di Firenze, dove sto frequentando i corsi. Puntualmente, un sopracciglio alzato con discrezione o una frase iniziata con una congiunzione avversativa rendono visibile l’implicito e implacabile punto interrogativo che vorrebbe urlare, con disperazione, derisione o compassione: chi te l’ha fatto fare? La filosofia è inutile, soprattutto al giorno d’oggi.
Quando mi sono diplomata ero elettrizzata e fiera della mia scelta universitaria, esibivo orgogliosa i libri di Heidegger, sotto braccio a spasso per la città, pensando di poter cambiare il mondo a colpi di morale kantiana ed entusiasmo socratico. Adesso è tutto diverso. Quando vengo interrogata sulla strada che ho intrapreso, sento improvvisamente una sensazione di malessere diffuso e appiccicoso, un misto di vergogna e senso di colpa. Rispondo controvoglia e sulla difensiva, come se dovessi esibire una giustificazione per ciò che ho scelto, per il peccato commesso, di fronte a chi ride, sentenziando che finirò in qualche Mc Donald ’s, se sarò fortunata, certo. “A cosa serve la filosofia?”. Filosofia è pensare con intelligenza e curiosità; è lo stimolo stesso della ricerca e della conoscenza, è radice del grande albero del sapere. Filosofia è un lambiccarsi continuo, nella sua etimologia di esaminare goccia a goccia ogni aspetto della vita, senza dare per scontato ciò che percepiamo e esperiamo ogni giorno, è ermeneutica stessa del nostro vivere, è ciò che dà un senso compiuto alle nostre azioni. Socrate pungolava l’intelligenza, Spinoza è stato uno dei primi a mettere nero su bianco l’importanza di alcuni diritti fondamentali che noi oggi chiamiamo inalienabili. Nietzsche ci ha scosso dal torpore, esortandoci a dubitare di ciò che è sempre stato dato per scontato ed è grazie ad Heidegger che ci siamo resi attori di ciò che facciamo, dissolvendo la densa nebbia dell’esistenza inautentica, dell’esistenza del “si dice, si fa”. “Sì, certo, ma concretamente a cosa serve la filosofia? Il muratore costruisce, il medico cura, il contabile conta. Ma il filosofo?”. A questo punto, che dire? È vero, la filosofia è inutile. Non serve a niente, è assurdamente inutile. Albert Camus ha detto, ne
Le mythe de Sisyphe, che soltanto ciò che è inutile e senza scopo, soltanto ciò che è assurdo può renderci liberi e spezzare le catene che ci imprigionano. Ed ecco, in tutto il suo splendore, la meravigliosa inutilità della poesia, dell’arte e della filosofia, che permettono di liberarsi, di emanciparsi da una società che monetizza ogni esperienza umana e livella ogni emozione, ogni differenza, ogni curiosità. Una società che considera l’educazione, la cultura e la bellezza vezzi superflui, di cui si può tranquillamente fare a meno, perché c’è bisogno di case, persone sane e di conti che tornano. Allora sì, posso concludere che la filosofia forse è davvero inutile. Ma sono felice di far parte di quella inutilità che da sempre ha fatto la differenza tra un essere umano e una macchina.
Irene Lucchesi