Intervenire oggi con parole nostre che non siano quelle lette dalla Parola di Dio o dalla Sacra Liturgia diventa davvero un operazione rischiosa. Forse il silenzio sarebbe il miglior interprete delle emozioni e dei dolori che stiamo vivendo, ma credo che anche questo oggi potrebbe lasciar spazio a fantasmi e tristezze.
Così mi accingo a scrivere e ora a leggere alcuni pensieri personali e spero di farlo con la delicatezza con cui lo Spirito Santo è solito soffiare nei cuori feriti e affranti.
Senza fronzoli e preamboli partirei dal cuore di questa storia. E il cuore è semplicemente una domanda: perchè?
Un papà in questi giorni avvicinandosi mi ha detto: “oggi la mia bambina mi ha chiesto perchè abbiamo pregato tutti i giorni per Gianluca. Non ho saputo risponderle”. Neanch’io caro papà so risponderti! Ci sono domande troppo grandi, troppo sproporzionate.
Noi uomini siamo soliti trovare per tutte le cose una causa o spesso un colpevole. Chissà magari abbiamo pregato poco o con poca fede. Ma una risposta del genere non regge. Per Gianluca ha pregato una comunità parrocchiale, una scuola, gli amici, suore di clausura, preti, missionari, santi del cielo, un papà, una mamma…
Non é ragionevole pensare che sia stata preghiera di poco conto la nostra.
Allora di chi è la colpa perché un colpevole dovremo pur trovarlo? La malattia, gli untori, i medici, distrazioni, inadempienze… No nemmeno qui mi sento di trovare responsabilità e tantomeno colpevoli.
Solo una cosa oggi mi pare sensata, anche se profondamente dolorosa: eliminare colpe e colpevoli e ogni tipo di risposta risposta e rimanere dentro una sola domanda: perchè?
Stare dentro una domanda arrendendoci a trovare una risposta. Oggi ci è chiesto questo. É difficile, tremendamente difficile. É come stare sotto la croce.
Spesso ci riempiamo di crocifissi al collo e nelle case, ma quando l’immagine della croce si incarna nella vita allora preferiamo tenerla distante. Eppure essa fa parte della vita e a volte entra inesorabile e violenta.
Perché Dio è accaduto questo? Dio stesso fa silenzio. Il perché dei bimbi e il perché degli adulti rimangono senza risposta.
Ma allora tutto è inutile? Tutto è vano?
No.
Anzitutto non è vana la sofferenza. Ce lo ha insegnato Gianluca nel suo ultimo anno qui con noi. In questo calvario infinito che ha vissuto ha saputo lasciar emergere tutta la sua dimensione umana più bella e più nobile che già lo contrastingueva.
La prima volta che l’ho incontrato subito dopo l’operazione di rimini a pochi giorni dall’ingresso in Ospedale mi sono avvicinato e gli ho detto con fare serio e paterno: “Gianluca adesso ti aspetta una lunga camminata in salita. Ma tu sei un bambino forte e troverai dentro di te la forza per affrontare questa salita. Ho visto che Gianluca mi ha guardato con occhi grandi come faceva di solito di fronte alle cose che lo stupivano, tra lo spaventato, dato che sapeva bene cosa voleva dire una camminata in montagna visto che avevamo fatto il campeggio due settimane prima e la curiosità innocente di cominciare questa avventura.
E quelle forze per camminare le ha trovate, caro Gianluca.
Così mi scrive mamma Anna: Ciao mio grande amore, sei un bambino speciale. Hai combattuto con tutte le tue forze senza mai arrenderti. Tu volevi vivere!
In ospedale hai imparato tante cose. Anche a cucire e mi dicevi: “mamma portarmi qualcosa da cucire”. Ti sei cucito un tuo pantalone hai attaccato su la toppa di cars e le calzette di Catia.
Ti piaceva poi annodare fili per fare braccialetti nel polso e mi porto ancora dietro il tuo braccialetto. E dopo tre giorni dall’intervento ti sei alzato e sei voluto andare al tavolo per fare braccialetti per i bambini dell’ospedale.
Amore mio i primi 6 mesi della malattia all’ospedale di rimini sei diventato una star. Tutti gli infermieri e tutti i dottori ti dicevano che da grande avresti fatto il medico chirurgo. Ormai riuscivi a medicarti da solo e nonostante tutta la chemioterapia, appena avevi qualche energia ti alzavi dal letto e andavi nella sala da giochi a giocare. Tu mi davi la forza per andare avanti e mi dicevi: non essere triste mamma. Non essere triste mamma.
E poi ti preoccupavi degli altri bimbi. Nel reparto tu solo riuscivi a parlare con un bambino di quattro anni Elia che non voleva parlare con nessuno. Appena lo sentivi piangere ti preoccupavi e mi dicevi: cosa gli stanno facendo? Ti preoccupavi tanto anche di Leonardo un bambino di 6 mesi e mi dicevi: perchè così piccolo si è ammalato?
A Roma ti divertivi a giocare a nascondino con due fratellini di colore e quando tornavi il tuo pensiero era sempre quello: perchè non hanno i genitori? Ed eri dispiaciuto. In ospedale poi a Roma condivideva con un bambino di nome Andrea con sindrome di down che non parlava mai con nessuno. Gianluca con la sua simpatia è riuscito a diventare suo amico e lo faceva ridere. Prendeva le medicine solo da lui.
E poi una sera in ospedale mi hai detto che volevi diventare santo. Questa frase mi ha impressionato e mi continuavi a dire: si voglio diventare santo.
No, non è vana la sofferenza. Noi uomini abbiamo il dovere di combatterla e di vincerla, ma comunque sia quando si presenta diventa sempre maestra di vita.
Dentro la sofferenza nasce la solidarietà. Quanta ne ho vista in questi giorni. Mi si è fatto notare che nel crocifisso di Giotto nella nostra cappellina, Maria é sostenuta da due donne. Ecco lei la Madre del dolore ha bisogno di solidarietà. Quanto di più noi. Ho visto i familiari e gli amici stringersi intorno ad Anna, Paolo e Katia, la scuola Karis, le maestre e i compagni, tutta la comunità parrocchiale. Nel dolore abbiamo visto crescere l’amore di gratuità e la generosità. Grazie a tutti voi è alla vostra bella testimonianza. Nel dolore ci siamo riuniti tutti come sotto la croce. Gianluca è morto alle tre del pomeriggio come Gesù e stiamo vivendo stretti stretti questo passaggio.
Per ora rimane solo la domanda, ma nella fede sappiamo che qualcosa da qualche parte uscirà fuori. È la fede della Pasqua. Per questa fede che non vediamo, ma che crediamo siamo certi che la tristezza non può vincere. Ed è per questo che oggi abbiamo scelto il colore bianco, della luce. Siamo certi che il buio più nero non potrà mai ingabbiare la luce pasquale.
Allora concludo con una poesia di Gianluca nella primavera del 2012
Un di e l’altro le pie donne in pianto pregarono su la tomba del Signore. Intorno era di fior tutto un incanto, il mandorlo e il pesco erano in fiore. Ma il terzo giorno ritornando all’orto cercarono il sepolto vanamente. Al suo posto era un angelo splendente che disse: “non è qui: Cristo è risorto”.
Anche Gianluca è risorto con Gesù e dal cielo ci sorride e ci dice non piangete!